Svante Pääbo ed il DNA antico

Biografia

Svante Pääbo, il grande studioso del DNA antico, nasce a Stoccolma il 20 aprile 1955 dalla relazione extraconiugale tra Sune Bergström (vincitore del premio Nobel per la medicina nel 1982 per i suoi studi sulle prostaglandine) e la chimica estone Karin Pääbo, della quale assume il cognome.

Laureato in Biologia, consegue il dottorato di ricerca all’Università di Uppsala nel 1986 ed è borsista post-dottorato presso l’Università di Zurigo e successivamente presso l’Università della California a Berkeley.

È in California che Svante Pääbo, giunge alla maturità professionale, nel Laboratorio di Allan Wilson, un grande biologo molecolare, noto per le sue dimostrazioni sperimentali dell’orologio molecolare e per la “scoperta” dell’“Eva Mitocondriale”. È un periodo di entusiasmi, suscitati dalle potenzialità della genetica di fornire spiegazioni semplici ai grandi misteri della vita.

Diventa professore presso l’Università di Monaco di Baviera, in Germania, nel 1990. Nel 1999 fonda il Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology a Lipsia, in Germania, dove lavora tuttora.

Premi

  • Nell’ottobre 2022 Svante Pääbo è stato premiato con il Nobel per la Medicina per le sue scoperte sui genomi degli ominini estinti e sull’evoluzione umana.
  • Nel giugno 2010 la Federation of European Biochemical Societies gli conferì la Theodor Bücher Medal per i successi nell’ambito della biochimica e della biologia molecolare.
  • Nell’ottobre 2009 la Foundation for the Future annunciò l’assegnazione a Pääbo del premio Kistler per il suo lavoro sul DNA antico.
  • Nel 1992 ha ricevuto il premio Leibniz della Deutsche Forschungsgemeinschaft, che è la più alta onorificenza scientifica tedesca.
Svante Pääbo, Premio Nobel per la Fisiologia e la Medina 2022
Figura 1 – Svante Pääbo, Premio Nobel per la Medicina 2022
(Fonte: Jens Schlueter//Getty Images)

Il quadro generale dell’evoluzione degli ominini

La divergenza definitiva tra umani e scimpanzé é avvenuta tra 7 milioni e 6 milioni di anni fa. Per milioni di anni, sotto la pressione della selezione naturale, una moltitudine di ominini si sono evoluti, hanno colonizzato il pianeta, si sono mescolati tra loro, si sono estinti. Fino a circa 40-50.000 anni fa, il mondo era abitato da vari gruppi di umani arcaici che erano diversi da noi nel fisico ma camminavano eretti e condividevano tante delle nostre capacità.

C’è consenso nello stimare che, in quel periodo, almeno 3 specie di ominini abitavano l’Africa e l’Eurasia: Homo sapiens, originatosi in Africa circa 200 mila anni fa ed espanso in Eurasia a partire da 120-130.000 anni fa, l’Uomo di Neanderthal e l’Uomo di Denisova, originatesi per speciazione geografica da Homo haidelbergensis, fuoriuscito dall’Africa 700-800 mila anni fa.

Una quarta specie, davvero sorprendente, Homo floresiensis, si é originata da Homo erectus (la variante asiatica di Homo ergaster) a seguito della prima uscita dall’Africa, avvenuta 2 milioni di anni fa. Questa specie longeva si è adattata con il nanismo, nell’isola di Floris in Indonesia ed è sopravvissuta per centinaia di migliaia di anni fino a scomparire circa 50.000 anni fa.

Oggi, gli umani anatomicamente moderni sono gli unici rappresentanti sopravvissuti delle 4 specie del genere Homo citate. Tutti gli altri sono stati sconfitti dalla selezione naturale, per competizioni demografiche locali, per una comunicazione linguistica meno sofisticata, per una minore flessibilità adattativa e tecnologica o sono stati sterminati.

La distribuzione degli ominini circa 50.000 anni fa ed il contributo del DNA antico per gli umani moderni
Figura 2 – La distribuzione degli ominini circa 50.000 anni fa ed il contributo del DNA antico per gli umani moderni. (Fonte: The Nobel Committee for Physiology or Medicine)

Come le ricerche di Svante Pääbo sul DNA antico si inseriscono in questo quadro

In questo quadro generale, Svante Pääbo, con le sue ricerche, cerca di dare risposte alle domande sull’origine dell’umanità: da dove veniamo? Che rapporto abbiamo con chi ci ha preceduto? Cosa rende Homo sapiens diverso dagli altri ominini estinti?

Le risposte risiedono nello studio del DNA antico, una tecnica rivoluzionaria, paragonabile o forse ancora più innovativa di quella della datazione dei fossili con il radiocarbonio del 1949.

Svante Pääbo ha dato un contributo fondamentale all’elaborazione delle tecniche per lo studio del DNA antico e ha stabilito una nuova disciplina scientifica, la paleogenomica. Questa nuova scienza recupera e ricostruisce genomi completi di individui vissuti nel passato, con tecnologie molecolari iper-sofisticate.

Questa rivoluzione ha fatto luce sulle migrazioni umane ed ha rivelato come le popolazioni siano legate le une alle altre in modo inaspettato, con mescolanze, sostituzioni, espansioni e scissioni.

Le ricerche di Svante Pääbo prima dello studio del DNA antico di Neanderthal e Denisova

Il suo interesse per la biologia molecolare e la genetica, porta Svante Pääbo ad esaminare per primo il DNA antico di mummie egizie.  Ai tempi del suo dottorato, nel 1981, Svante riesce infatti a ottenere da un museo tedesco alcuni frammenti di una mummia proveniente dall’antico Egitto.  Lo scopo della sua ricerca era capire se fosse possibile estrarre da reperti biologici, vecchi di migliaia di anni, frammenti di DNA più o meno intatti.

A dispetto delle convinzioni del mondo scientifico che negava questa possibilità, egli dimostrò come questo fosse possibile, tanto da guadagnarsi la pubblicazione e la copertina di Nature.

Nel 1993 Svante Pääbo lavora sul DNA di Otzi, l’uomo preistorico ritrovato in un ghiacciaio in Tirolo nel 1991.
Negli anni del suo post-dottorato a Berkeley lavora con successo sulla estrazione del DNA di quagga, una sotto-specie di zebra estinta.

Nel 2002 Svante Pääbo ed i suoi collaboratori scoprono due mutazioni in FOXP2, un gene implicato nello sviluppo delle abilità linguistiche. Dimostrarono che la proteina prodotta è rimasta pressoché identica durante gli oltre 100 milioni di anni di evoluzione che hanno separato i topi dagli scimpanzé. I due cambiamenti nella proteina sono avvenuti proprio in concomitanza della separazione della popolazione umana dagli scimpanzé.

Una terza mutazione del gene FOXP2 è stata in seguito identificata in quasi tutti gli umani moderni, ma non in Neanderthal. Avendo questa mutazione un effetto sulla codificazione, trascrizione e traduzione del gene stesso in proteina, rappresenta un possibile candidato responsabile della spinta evolutiva degli umani moderni, dopo la separazione dai neandertaliani.

Svante Pääbo ed il DNA antico di Neanderthal

Arrivato all’università di Monaco, il primo neandertaliano su cui Pääbo fissa il suo interesse é ciò che ha dato il nome all’uomo di Neanderthal: un fossile rinvenuto nel 1856 nella grotta di Feldhoffer, nella valle di Neander nei pressi di Düsseldorf.

Rappresentazione artistica di Homo neanderthalensis.
Figura 3 – Rappresentazione artistica di Homo neanderthalensis. (Fonte: Joe McNally, Nat Geo Image Collection).

Pääbo, facendo tesoro dell’esperienza maturata a Berkeley, lavora alacremente per superare i grandi problemi legati al danneggiamento del DNA antico. Esso é ridotto dal tempo in piccoli frammenti, risulta contaminato con DNA batterico, fungino, virale o con il DNA degli archeologi e ricercatori che hanno maneggiato il campione. Pääbo mette a punto tecniche d’avanguardia e giunge al riconoscimento del DNA antico “autentico”.  

Genoma mitocondriale di Neanderthal

Svante riesce ad ottenere alcune corte sequenze di DNA mitocondriale (mtDNA) neandertaliano, la più lunga delle quali contiene 379 nucleotidi. Essa viene confrontata con quella degli scimpanzé e dell’umanità attuale, dimostrandosi assolutamente estranea alla nostra variabilità. Le conclusioni a cui giunge Pääbo, in un lavoro del 1997, sono che tutti gli uomini moderni hanno un’origine puramente africana, che hanno condiviso con i Neanderthal un antenato comune ed infine che i Neanderthal si sono estinti senza contribuire con il loro mtDNA agli esseri umani moderni. Quindi due specie diverse che non si erano mai incrociate tra loro.

Genoma nucleare di Neanderthal

Il genoma mitocondriale è però molto piccolo, contiene 1000 paia di basi contro i 3 miliardi di paia di basi del genoma nucleare e quindi fornisce informazioni limitate, non conclusive e magari fuorvianti.

Per questo motivo, Pääbo, all’ Istituto Max Planck di Lipsia, organizza un’equipe internazionale e multidisciplinare di esperti in genetica delle popolazioni come David Reich, in matematica applicata come Nick Patterson, in genomica computazionale come Rasmus Nielsen. Il team di Pääbo migliora le tecniche di isolamento e differenziazione del DNA antico dal DNA contaminate e affronta l’enorme sfida di sequenziare il genoma nucleare dei Neanderthal. Per questo scopo, approfitta degli sviluppi tecnici (Polymerase Chain Reaction o PCR, Next Generation Sequencing o NGS) che in quegli anni avevano reso il sequenziamento del DNA altamente efficiente e molto meno costoso, riadattandoli alle problematiche del DNA antico, scarso, danneggiato e contaminato.

Il lavoro si concentra su tre ossa di braccio e gamba di circa 40.000 anni fa provenienti dalla grotta di Vindija, negli altopiani croati. Svante Pääbo ed il suo team, composto da 55 scienziati (tanti sono i co-firmatari del lavoro), ottengono, dopo mille verifiche, risultati entusiasmanti e nel 2010 pubblicano una bozza di sequenza del genoma di Neanderthal.

Conlcusioni di Svante Pääbo sul DNA antico di Neanderthal

Il confronto tra il genoma di Neanderthal e quello di cinque esseri umani attuali, provenienti da diverse parti del mondo, identifica una serie di regioni genomiche che potrebbero essere state influenzate dalla selezione positiva negli esseri umani moderni ancestrali. Dimostrano che i Neanderthal hanno condiviso più varianti genetiche con gli esseri umani attuali in Eurasia che con quelli nell’Africa sub-sahariana. Ciò significa che i Neanderthal e Homo sapiens si sono incrociati durante i loro millenni di coesistenza, in un’area vastissima che va dal Medio Oriente, alla Spagna alla Siberia.

Come spesso accade, queste conclusioni rivoluzionarie trovarono anche fiere contestazioni. Si obiettò che gli incroci trovati con esseri umani arcaici non fossero necessariamente avvenute con i neandertaliani ma con umani arcaici a loro volta imparentati remotamente con i neandertaliani.

A queste contestazioni rispose un nuovo lavoro dell’equipe di Svante Pääbo del 2013, su un osso di un alluce trovato nella Siberia meridionale di una donna di almeno 50.000 anni, con un DNA di elevata qualità. Questo lavoro permise di determinare che i genomi non-africani attuali sono per circa 1-4 % di origine neandertaliana, con le percentuali più alte negli est-asiatici e quelle più basse negli europei. Non si trovò nessun segmento di DNA condiviso dalla Neanderthal siberiana con i subsahariani moderni nell’ultimo mezzo milione di anni.

Svante Pääbo ed il DNA antico di Denisova

Nel 2008 alcuni archeologi russi disseppellirono un osso della falange di un mignolo, nella grotta di Denisova sui monti Altai, nella Siberia meridionale. Il reperto poteva essere datato tra 30.000 e 50.000 anni fa, in base allo strato geologico di ritrovamento, ma era troppo piccolo per poterne attribuire l’appartenenza ad una precisa specie umana. Il direttore degli scavi spedisce quindi una parte dell’ossicino a Svante Pääbo in Germania.

Pääbo ed il suo team sequenziano prima il mtDNA e poi l’intero genoma ed i risultati hanno una eco mondiale: la sequenza di DNA era unica rispetto a tutte le sequenze conosciute di Neanderthal e di esseri umani attuali.

Pääbo aveva scoperto un ominine, precedentemente sconosciuto, diffusosi in Asia nel tardo Pleistocene, a cui fu dato il nome di Denisova.

Il confronto con le sequenze di esseri umani contemporanei provenienti da diverse parti del mondo ha dimostrato che anche tra Denisova e Homo sapiens si è verificato un flusso genico. Questa relazione è stata riscontrata per la prima volta nelle popolazioni della Melanesia e di altre zone del Sud-Est asiatico, dove gli individui portano fino al 6% di DNA denisovano.

L'albero filogenetico illustra  i flussi genici scoperti da Svante Pääbo con gli studi sul DNA antico.
Figura 4 – L’albero filogenetico illustra  i flussi genici scoperti da Svante Pääbo con gli studi sul DNA antico.
(Fonte: The Nobel Committee for Physiology or Medicine)

Le conseguenze delle scoperte di Svante Pääbo

Le scoperte di Pääbo hanno generato una nuova comprensione della nostra storia evolutiva. All’epoca della migrazione di Homo sapiens dall’Africa, almeno due popolazioni di ominini estinti abitavano l’Eurasia. I Neanderthal vivevano nell’Eurasia occidentale, mentre i Denisovani popolavano le zone orientali del continente.

Durante la sua espansione al di fuori dell’Africa e la sua migrazione verso est, Homo sapiens, non solo incontrò e si incrociò con i Neanderthal, ma anche con i Denisovani che a loro volta si incrociarono con i neandertaliani. E di questi incroci vi è una chiara traccia negli umani moderni.

I lavori più recenti del team di Svante Pääbo

Dopo queste fondamentali ricerche, Svante Pääbo ha pubblicato i genomi di numerosi altri ominini estinti. Le scoperte di Pääbo hanno creato una risorsa unica, ampiamente utilizzata dalla comunità scientifica per comprendere meglio l’evoluzione umana e le migrazioni. Grazie alle scoperte di Svante Pääbo, oggi sappiamo che le sequenze di geni arcaici dei nostri parenti estinti influenzano la fisiologia degli esseri umani attuali.

Un esempio è la versione denisovana del gene EPAS1, che conferisce un vantaggio per la sopravvivenza ad alta quota ed è comune tra gli attuali tibetani.

Altri esempi sono i geni di Neanderthal che influenzano la nostra risposta immunitaria a diversi tipi di infezioni. Le quattro varianti genetiche presenti sul cromosoma 3, arrivate a noi a partire dal DNA dei Neanderthal, sono state associate ad un rischio triplo di dover ricorrere alla ventilazione meccanica in caso di contagio con il virus SARS-CoV-2. Viceversa, Pääbo ed il suo team, hanno anche dimostrato che un aplotipo sul cromosoma 12, associato a una riduzione di circa il 22% del rischio relativo di ammalarsi gravemente in caso di infezione da SARS-CoV-2, è anch’esso ereditato dai Neanderthal. Questo aplotipo è presente con frequenze sostanziali in tutte le regioni del mondo al di fuori dell’Africa. La regione genomica in cui si trova questo aplotipo codifica proteine importanti durante le infezioni da virus a RNA.

Il futuro del DNA antico

I sequenziamenti di genomi arcaici si susseguono ad un ritmo vertiginoso.

Le tecniche sempre più sofisticate consentono ora lo studio del DNA antico proveniente non solo da aree a clima freddo ove il DNA si è meglio conservato, ma anche da zone tropicali a clima caldo e umido.

Gli scienziati sono certi che il DNA antico di luoghi come l’Africa ed il sud dell’Asia regaleranno grandi sorprese. Questi sforzi potranno produrre un atlante del DNA antico con analisi dettagliate spazio-temporali.

Secondo David Rich questo atlante “genomico” potrà competere con le prime carte del globo disegnate tra il 1400 ed il 1800 come contributo al sapere umano.

Nel futuro atlanti del DNA antico?
Figura 6 – Nel futuro atlanti del DNA antico? (Fonte: Pikaia).

Fonti

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Fiorenzo Carozzi

Sono Fiorenzo Carozzi, biologo, microbiologo in ambito industriale ora in pensione. Sono appassionato oltre che alla microbiologia, alla fotografia paesaggistica. Sono stato direttore tecnico di una azienda nazionale che produce terreni di coltura.

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