Polyomavirus JC: struttura e descrizione
Il Polyomavirus JC, conosciuto anche come virus di John Cunningham JCV o Human polyomavirus 2, è un virus appartenente alla famiglia dei Polyomaviridae e fu isolato, per la prima volta, nel 1971 dal cervello di un paziente affetto da una patologia cerebrale demielinizzante, conosciuta come leucoencefalopatia multifocale progressiva. Come tutti i Polyomavirus, è un virus a DNA a doppio filamento di circa 5000pb, generalmente piccolo con un capside icosaedrico il cui diametro non supera i 50nm, sprovvisto di envelope esterno. Questi virus sono conosciuti per essere particolarmente oncogenici e per innescare diversi gravi processi patologici in persone con importanti deficit immunitari, sottoposte a trapianto di organi ed in terapia con i farmaci mirati ai linfociti. Tra questi, è bene ricordare – assieme al JCV – il BK virus che, mentre in pazienti immunocompetenti comporta infezioni asintomatiche, in pazienti immunocompromessi e spesso sottoposti a trapianto, è la causa di una grave nefropatia, cistiti emorragiche e stenosi uretrale ed il Polyomavirus delle cellule di Markel o MCPV, agente eziologico del carcinoma a Cellule di Markel, una rara ma aggressiva neoplasia cutanea.
Filogenesi
Dominio | Acytota |
Gruppo | Gruppo I (dsDNA virus) |
Famiglia | Polyomaviridae |
Genere | Polyomavirus |
Specie | JCV |
Il Polyomavirus JC virus è provvisto di diverse proteine strutturali (Fig.1), che accomunano anche tutti gli altri Polyomavirus:
- La proteina VP1, che rappresenta il maggiore bersaglio della risposta immunitaria, è considerata il principale determinante antigenico
- Le proteine VP2 e VP3, il cui ruolo non è ancora del tutto chiaro ma si pensa potrebbero essere centrali nell’incapsidamento del DNA
- La proteina LP1 (agnoproteina) necessaria per la maturazione ed il rilascio del virus.
- Inoltre, per ultime ma non meno importanti, sono presenti altre due proteine il cui ruolo è di base nella replicazione del DNA: l’antigene T grande e l’antigene T piccolo.
Infine, è presente una regione di controllo non codificante denominata NCCR che contiene diversi promotori e sequenze di controllo della trascrizione in grado di legare diversi fattori trascrizionali della cellula ospite.
Nonostante tutti questi virus presentino un elevato e specifico tropismo per le cellule ospiti e sono caratterizzati inoltre dalla capacità di indurre infezioni persistenti croniche e latenti, i soggetti immunocompetenti riescono solitamente ad arginare l’infezione con successo, tranne in alcuni casi nei bambini che hanno manifestato sindromi respiratorie transitorie. Quasi sempre, infatti, l’infezione è asintomatica e non lascia residui. Nei soggetti immunodepressi che di conseguenza hanno una scarsa protezione immunologica, il virus è però soggetto a riattivazione, scatenando un severo quadro clinico potenzialmente letale. I siti d’infezione iniziali si pensa possano essere le tonsille ed il tratto gastrointestinale, in cui rimane latente per mesi e/o anni.
Compromissione cerebrale: leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML)
In situazioni di immunodepressione, l’infezione primaria caratterizzata dalla latenza del virus può evolversi in infezione secondaria innescando così una sua riattivazione. Il JCV ha la capacità di attraversare la barriera ematoencefalica (Fig.2) e stabilizzarsi negli oligodendrociti, cellule del tessuto nervoso centrale deputate alla produzione di mielina, in cui inizia un processo litico finalizzato alla distruzione di quest’ultima.
In questo caso, a livello clinico, sono presenti una varietà di sintomi neurologici come la perdita della vista, demenza, atassia, alterazioni di coscienza e paralisi che possono evolvere in pochi mesi portando alla morte del soggetto. Inoltre, sono stati segnalati anche casi in cui il JCV ha invaso le cellule granulari cerebellari e quadri clinici con aggravamento da meningite asettica.
La riattivazione di JCV è molto frequente nei pazienti HIV positivi a causa dell’alterazione linfocitaria CD4/CD8, ma anche in pazienti sottoposti a trapanti di organi in terapia immunosoppressoria. Recenti studi hanno inoltre dimostrato la presenza di leucoencefalopatia multifocale progressiva in soggetti sottoposti a terapia con anticorpi monoclonali (es. Natalizumab, Rituximab), affetti in particolare da sclerosi multipla, LES ed artrite reumatoide.
Diagnosi di laboratorio
Per la diagnosi di PML è essenziale la diagnostica virologica attraverso la discriminazione del genoma del virus JC. Il campione richiesto è solitamente il liquor cefalorachidiano (LCR) su cui verrà svolta la biologia molecolare in PCR Real Time al fine di riscontrare il DNA virale. Inoltre può essere di aiuto anche l’esame istologico con biopsia cerebrale e successivi esami in immunoistochimica ed ibridazione in situ. Ulteriori analisi specialistiche riguardano l’applicazione della citofluorimetria multiparametrica, al fine di valutare l’espressione di diversi marcatori sulle sottopopolazioni linfocitarie (immunofenotipizzazione).
Attualmente la terapia è solo di supporto, dato che non esiste nessun trattamento specifico per il virus. Può essere di aiuto la riduzione dei farmaci immunosoppressori ma questa opzione può comportare la IRIS o sindrome infiammatoria da immunoricostituzione, caratterizzata da una abnorme risposta infiammatoria conseguenza dell’attivazione del sistema immunitario. Nei soggetti in terapia con gli anticorpi monoclonali sopra menzionati che sviluppano tale patologia è bene interrompere il trattamento ed eseguire una plasmaferesi. Sono stati infine sperimentati diversi antivirali che non hanno, purtroppo, avuto particolare successo.
Priscilla Caputi
Fonti
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- https://www.britannica.com/science/polyomavirus
- https://www.aism.it/pml_leucoencefalopatia_multifocale_progressiva
- https://neuropathology-web.org/chapter6/chapter6cPML.html