I probiotici che assumiamo sono tutti efficaci e sicuri?

Che cos’è un probiotico?

La FAO definisce i batteri “probiotici” come: “microrganismi vivi che, quando somministrati in quantità adeguate, conferiscono un beneficio per la salute dell’ospite”.

Tra i principali batteri probiotici oggi in commercio troviamo:

  • Bifidobatteri, in particolare B. animalis subsp. lactis;
  • Lactobacilli, tra cui il gruppo L. acidophilus e il gruppo L. casei;
  • Enterococcus spp., in particolare E. faecalis.

I preparati a base di probiotici possono avere come target varie comunità microbiche presenti nel corpo umano. Ad oggi, quasi la totalità dei prodotti in commercio è destinata al microbiota intestinale. Questa inclinazione produttiva da parte delle aziende verso questo tipo di integratori è dettata anche dalle crescenti evidenze scientifiche, che affermano come l’eubiosi delle comunità microbiche del tratto gastro intestinale, sia associata a un generale benessere fisico.

Affinché dei microrganismi possano essere messi in commercio con lo status di “probiotici”, devono superare controlli molto stringenti da parte di specifici enti, come l’EFSA, che ogni sei mesi aggiorna la lista del QPS (Qualified Presumption of Safety), dove sono riportati tutti quei batteri che possono essere utilizzati dall’industria come probiotici e non solo.

Limitazioni nell’uso di probiotici autoctoni

Ad oggi, molti microrganismi utilizzati come probiotici e presenti nella lista del QPS non sono di origine umana, come nel caso di Bifidobacterium animalis subsp. lactis (che approfondiremo nel penultimo capitolo). Questo perché i microrganismi realmente autoctoni del microbiota intestinale, e quindi parte della microflora mucosale, sono spesso anaerobi, difficili da coltivare su scala industriale (gestione nel bioreattore, rappresentato nella figura 1) e da mantenere nel tempo.

Esempio di bioreattore ad utilizzo industriale per la produzione di probiotici
Figura 1 – Esempio di bioreattore ad utilizzo industriale per la produzione di probiotici. [Fonte: https://ritaibioreactor.com/it/scala-del-bioreattore/]

Le aziende farmaceutiche che producono questi integratori cercano quindi di trovare un compromesso tra rese industriali e sicurezza dei microrganismi stessi. L’approvazione di un nuovo batterio probiotico è infatti un processo complesso, poiché è necessario dimostrare specifiche caratteristiche di biosicurezza, concentrazione minima (pari ad almeno un miliardo di UFC) e una stabilità temporale.

Di conseguenza, le aziende produttrici tendono a utilizzare prevalentemente gli stessi microrganismi già presenti nella QPS list, poiché i trial per isolare probiotici realmente efficaci sono lunghi e costosi.

Quali caratteristiche deve avere un buon probiotico?

Un buon microrganismo probiotico deve avere le seguenti caratteristiche:

  1. Avere la stessa origine ecologica della comunità microbica con cui deve interagire.
    Ad esempio, se si sviluppa un probiotico destinato all’intestino umano, esso dovrà essere un batterio autoctono del microbiota intestinale. In caso contrario, una volta somministrato, non riuscirà a persistere (dato che non avrà le fonti di carbonio opportune per crescere), né interagire con gli altri microrganismi “indigeni”. Di conseguenza, non sarà in grado di stabilire le necessarie interazioni trofiche di “cross-feeding”, portando all’espulsione del microrganismo attraverso la peristalsi senza arrecare alcun beneficio all’ospite.
  2. Essere resistente a concentrazioni di NaCl, pH e sali biliari compatibili con quelle incontrate lungo il tratto gastrointestinale, così da poter colonizzare la propria nicchia ecologica target.
  3. Essere un microrganismo GRAS (Generally Recognized As Safe), ovvero sicuro per il consumo umano. Per ottenere questo status, un batterio non deve contenere nel suo genoma geni di resistenza agli antibiotici, geni per la produzione di tossine o profagi integrati, al fine di evitare fenomeni di trasferimento genico orizzontale (HGT) una volta ingerito. Questo è particolarmente importante nel microbiota intestinale, un ambiente caratterizzato da un’alta densità e complessità microbica, dove, a causa del vasto “microbial dark matter”, risulta difficile prevedere i fenomeni di HGT. L’assenza di questi elementi può essere verificata solo tramite il sequenziamento completo del genoma dell’ipotetico probiotico.
  4. Possedere basi genetiche e biochimiche per attivare meccanismi di concorrenza con i microrganismi autoctoni e attraverso la coesclusione, inibire i patogeni.
    Un esempio di questo fenomeno è l’interazione tra i Bifidobatteri e Faecalibacterium prausnitzii. Quest’ultimo, è un possibile probiotico di nuova generazione e un membro autoctono del microbiota intestinale umano. È particolarmente studiato per le sue proprietà antinfiammatorie, infatti grazie all’acido acetico prodotto dai Bifidobatteri, sintetizza acidi grassi a catena corta. Inoltre, il cross-feeding metabolico tra questi due generi microbici favorisce l’”engraftment” di F. prausnitzii, che, essendo un anaerobio stretto, risulta difficile da coltivare su scala industriale.
  5. Conoscere il più possibile le proprietà funzionali e genetiche dei microrganismi, come il cross-talk index, ovvero la loro capacità di creare interazioni trofiche. Questo aspetto può essere studiato attraverso l’analisi funzionale del genoma batterico e la profilazione del glicobioma, utilizzando tecniche avanzate come lo shotgun metagenomics.

Compatibilità dei probiotici: l’importanza dell’età e dell’enterotipo

Quando si somministra un probiotico, deve essere il più possibile compatibile con l’età dell’ospite. Il microbiota di un bambino presenta taxa microbici diversi rispetto a quello di un anziano. Inoltre, deve essere in sintonia con il suo enterotipo, ovvero quei generi batterici che costituiscono il “nocciolo” del microbiota intestinale. Questi microrganismi sono i primi a colonizzare l’intestino e risultano i più elettivi.

Prendendo in considerazione Bifidobacterium longum subsp. infantis, si tratta di un tipico “infant type”. Se somministrato a un adulto, non riuscirebbe a persistere nell’intestino, poiché si troverebbe in una nicchia ecologica non elettiva. La dieta di un adulto è infatti ricca di fonti di carbonio poco fermentescibili, come la cellulosa o i frutto oligosaccaridi a catena lunga (FOS). B. longum subsp. infantis non è in grado di degradare questi composti, poiché non possiede il glicobioma adatto.

Al contrario, la dieta di un infante è costituita prevalentemente da zuccheri fermentescibili, favorendo la crescita di questo microrganismo.

Questo dimostra quanto sia fondamentale sviluppare probiotici adatti al caso specifico.

Come si dovrebbe isolare un probiotico efficacie?

Come indicato nei paragrafi precedenti, affinché un probiotico sia veramente efficace, deve essere isolato dal microbiota intestinale autoctono.

Per ottenere batteri probiotici della stessa origine ecologica della nicchia target, si possono isolare, ad esempio, dal latte materno. Durante il periodo post-partum, infatti, per meccanismi convolutivi, i batteri intestinali entrano nel torrente ematico, costituendo il microbiota circolante, per poi raggiungere la ghiandola mammaria. In questo modo, il neonato si inocula con i batteri intestinali materni, favorendo la formazione di un primo microbiota.

Isolare batteri probiotici dalle feci rappresenta quindi un bias, poiché le feci riflettono sia il microbiota intestinale autoctono (mucosale) sia quello alloctono (luminare).

confronto fra un microbiota mucosale sano e ridotto
Figura-2Confronto fra un microbiota mucosale sano e ridotto [Fonte: https://www.3tre3.it/articoli/immunita-mucosale-e-e-coli_6131/]

Fasi di valutazione delle proprietà probiotiche

Una volta isolato il microrganismo, è necessario analizzarlo per valutarne:

  • Le caratteristiche tecnologiche e nutrizionali: al fine di sviluppare strategie di produzione, packaging e commercializzazione. Ad esempio, se ho un microrganismo acido sensibile è meglio somministralo protetto da capsule.
  • La sicurezza (status GRAS): attraverso il sequenziamento genomico, che consente non solo di verificarne la sicurezza, ma anche di estrapolarne le proprietà nutrizionali (glicobioma) per ottimizzare la produzione su scala industriale.
  • Test in silico: se, ad esempio, si desidera sviluppare un probiotico con proprietà antinfiammatorie, l’analisi funzionale del genoma permetterà di verificare la presenza dei geni e degli enzimi necessari per la produzione di acidi grassi a catena corta, come il butirrato.
  • Test in vitro: condotti su linee cellulari o, ancora meglio, su gut on chip (figura 3) o microbioti sintetici. Questi ultimi due sistemi sono oggi preferiti per valutare, per esempio, le proprietà di adesione e persistenza del probiotico. Essendo sistemi basati sulla fluidica, evitano l’acidificazione del medium, consentendo un’esposizione prolungata dei microrganismi e quindi un’analisi più accurata. Questo non è possibile con i modelli cellulari tradizionali, poiché l’acidificazione, conseguenza del metabolismo microbico, porterebbe alla morte delle cellule.
  • Test in vivo su modelli animali: per confermare o confutare le ipotesi emerse dai test precedenti.
  • Trial clinici sugli esseri umani.
rappresentazione di un gut on chip usato per testare i batteri probiotici
Figura-3 – Rappresentazione di un gut on chip usato per testare i batteri probiotici. [Fonte: https://www.mdpi.com/2079-6374/13/1/136]

Come si può notare, l’iter completo per determinare se un microrganismo ha un reale effetto probiotico e quindi benefico per l’ospite non è semplice. Anche se un probiotico è classificato come integratore alimentare e a livello legislativo, non è strettamente regolamentato come un farmaco, l’industria farmaceutica e nutraceutica deve sostenere ingenti investimenti, i cui primi payoff si vedono spesso solo nel lungo periodo. Per questo motivo, molti produttori preferiscono sviluppare preparati probiotici con microrganismi già presenti nella QPS list, nonostante molti di essi non siano di origine umana.

Il caso Bifidobacterium animalis subsp. lactis

Bifidobacterium animalis subsp. lactis è un microrganismo ampiamente utilizzato nei preparati ad uso probiotico (presente nella lista QPS). La sua diffusione nell’industria dei probiotici è dovuta al fatto che, essendo microaerofilo, può essere gestito facilmente nei bioreattori, permettendo di ottenere in poco tempo una grande quantità di biomassa microbica. Inoltre, è facilmente conservabile nel lungo periodo, ad esempio sotto forma di liofilizzati. Queste sue caratteristiche consentono ai produttori di rispettare i requisiti di stabilità temporale e di concentrazione minima di un miliardo di UFC per dose, per far si che un microgansimo possa essere commercializzato come probiotico.

Rappresentazione al microscopio elettronico di Bifidobacterium animalis subsp. lactis
Figura 4 – Rappresentazione al microscopio elettronico di Bifidobacterium animalis subsp. lactis [Fonte: https://www.researchgate.net/figure/Bifidobacterium-animalis-subsp-lactis-BB-12-Chr-Hansen-strain_fig1_334135730]

Il problema di questo microrganismo è che non è di origine umana: si trova spesso in alimenti fermentati e nel microbiota di animali d’allevamento, rientrando quindi nella microflora intestinale umana alloctona. Questa sua peculiarità implica che, come discusso nei paragrafi precedenti, non essendo originario della stessa nicchia ecologica in cui dovrebbe agire, non persisterà nell’intestino umano. Una volta terminata la somministrazione, verrà espulso con le feci senza apportare benefici all’ospite, poiché non è in grado di interagire con i membri autoctoni del microbiota intestinale a causa di una mancata coevoluzione.

Analisi genomica di B. animalis subsp. lactis

In seguito ad analisi genomiche comparative dettagliate sui genomi di B. animalis subsp. lactis, è emersa una stretta correlazione e un’isogenicità tra tutti i ceppi attualmente disponibili, suggerendo fortemente una struttura pan-genomica chiusa per questo gruppo batterico.

Studi comparativi e di risequenziamento hanno evidenziato che molti genomi pubblici dei vari ceppi di questo microrganismo presentano errori di sequenziamento o di assemblaggio, confermando così l’isogenicità e l’uguaglianza dei genomi di B. animalis subsp. lactis.

Questa affermazione è supportata da uno studio di Milani et al., pubblicato nel 2013 su ASM Journals, in cui è stato analizzato il pangenoma di diversi ceppi di B. animalis subsp. lactis. Il grafico ottenuto (pannello A in figura 5) mostra che, dopo l’aggiunta di pochi geni da nuovi ceppi, il pangenoma raggiunge rapidamente un plateau. Questo risultato riflette probabilmente il fatto che B. animalis subsp. lactis è un taxon altamente clonale, evolutosi di recente dalla specie Bifidobacterium animalis, in cui la variabilità genomica è associata solo a poche variazioni a livello di SNP (single nucleotide polymorphism).

Pan-genome e Core-genome a confronto
Figura-5 – Pan-genome e Core-genome a confronto. [Fonte: https://journals.asm.org/doi/10.1128/aem.00984-13]

Va inoltre sottolineato che i genomi di B. animalis subsp. lactis sequenziati finora contengono un trasposone coniugativo che trasporta il gene tet(W), il quale, insieme al gene miaA, conferisce resistenza alla tetraciclina.

Esiste anche un ceppo di B. animalis subsp. lactis di origine umana, ovvero il ceppo Bl12 (utilizzato anche come probiotico). Tuttavia, a livello genomico, la sua struttura risulta analoga a quella descritta in precedenza, con una limitata diversità genetica circoscritta ad alcune variazioni di SNP nel gene miaA.

L’apparente mancanza di differenze genomiche significative tra i ceppi di B. animalis subsp. lactis analizzati nello studio di Milani et al. suggerisce che questi ceppi possano esercitare attività di promozione della salute simili, se non identiche. Tuttavia, la presenza di un gene per la resistenza su un trasposone coniugativo potrebbe favorire fenomeni di trasferimento genico orizzontale (horizontal gene transfer, HGT) in comunità microbiche complesse come quella del microbiota intestinale.

Conclusioni

La sicurezza e l’efficacia dei probiotici dipendono da numerosi fattori. Affinché un integratore a base di health promoting bacteria apporti reali benefici all’ospite, deve rispettare rigorosi criteri scientifici e biologici. La selezione dei ceppi, la loro origine ecologica e la capacità di interagire con il microbiota intestinale sono aspetti fondamentali per il successo di un probiotico.

L’era della probiogenomica ha aperto nuove frontiere nella ricerca sui probiotici. Le tecniche avanzate di biologia molecolare permettono di comprendere la genetica, la fisiologia e le interazioni microbiche. Questo progresso ci sta portando verso un futuro in cui i probiotici non saranno più prodotti standardizzati, ma preparati personalizzati. Saranno studiati per adattarsi alle esigenze specifiche di gruppi di persone o di singoli individui.

Già oggi, la batterioterapia mirata offre soluzioni promettenti per contrastare particolari stati di disbiosi. Tuttavia, siamo solo all’inizio di una rivoluzione scientifica. L’integrazione tra genomica e tecniche colturomiche consentirà di selezionare e ottimizzare microrganismi capaci di svolgere un ruolo chiave nel mantenimento della salute umana.

Il futuro dei probiotici è sempre più legato alla scienza di precisione. La domanda non è più “I probiotici funzionano?”, ma piuttosto “Qual è il probiotico giusto per me?”.

Crediti immagini

  • Immagine in evidenza: https://www.greenme.it/wp-content/uploads/2021/08/probiotici.jpg
  • Figura 1: https://ritaibioreactor.com/it/scala-del-bioreattore/
  • Figura 2: https://www.3tre3.it/articoli/immunita-mucosale-e-e-coli_6131/
  • Figura 3: https://www.mdpi.com/2079-6374/13/1/136
  • Figura 4: https://www.researchgate.net/figure/Bifidobacterium-animalis-subsp-lactis-BB-12-Chr-Hansen-strain_fig1_334135730
  • Figura 5: https://journals.asm.org/doi/10.1128/aem.00984-13

Fonti

Foto dell'autore

Giampiero Federici

Laureato triennale in biotecnologie, presso l'Università degli studi di Parma. Attuale studente di Biotecnologie Genomiche molecolari e Industriali, presso il dipartimento di SCVSA dell'ateneo Parmense. Da sempre appassionato di microbiologia, specialmente quella applicata in campo agro-alimentare e zootecnico, ed in generale alla microbiologia e fisiologia dei batteri probiotici.

1 commento su “I probiotici che assumiamo sono tutti efficaci e sicuri?”

  1. È un mondo affascinante e complesso ma si riuscirà a risolvere con la ricerca industriale e con il riuscire a sintetizzare probiotici personalizzvorronno investimenti importnti sicuramente ci vorranno grossi investimenti e non saranno sicuramente cure poco costose

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