Alzheimer: microbiota intestinale potrebbe essere la chiave di volta

Il microbiota intestinale potrebbe essere la chiave per prevenire molte patologie, compresa l’Alzheimer

Il microbiota intestinale, composto da decine di trilioni di microbi intestinali, sta diventando oggetto di sempre maggior interesse per la ricerca scientifica in quanto sembra svolgere un ruolo importante per il corretto funzionamento del nostro organismo. E’ noto che il microbiota intestinale è costituito da una vasta comunità di microrganismi, tra cui batteri, virus, funghi e archea, che vivono nell’intestino e interagiscono con l’organismo in molteplici modi, aiutando a mantenere l’equilibrio fisiologico e svolgendo importanti funzioni metaboliche, immunologiche e neurali.

Recenti studi hanno inoltre suggerito che il microbiota intestinale ha un ruolo cruciale anche nella salute del nostro cervello e potrebbe influenzare lo sviluppo di malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer. La ricerca in questo campo si sta focalizzando sull’analisi dei meccanismi attraverso cui il microbiota intestinale può influenzare il funzionamento del cervello, nonché sulla caratterizzazione dei batteri intestinali che possono essere coinvolti nella patogenesi di queste malattie.

Alzheimer microbiota intestinale
Figura 1 – Diversi studi hanno dimostrato che l’Alzheimer ha delle forti correlazioni con la composizione del microbiota intestinale.

Esiste una correlazione tra malattia di Alzheimer e microbiota intestinale?

Uno studio recente condotto dall’Università del Nevada ha cercato di indagare in modo più dettagliato la relazione tra malattia di Alzheimer e microbiota intestinale nel microbiota umano. I ricercatori hanno esaminato la composizione del microbiota dei pazienti con Alzheimer, confrontandola con quella del gruppo di controllo composto da soggetti sani. Per farlo, hanno utilizzato una valutazione del rischio basata su correlazioni genetiche note con la malattia in relazione a 119 specie di microbi intestinali prelevati su ciascun individuo.

Hanno scoperto che 20 di questi 119 ceppi batterici avevano un’associazione significativa con la malattia di Alzheimer. Sei di questi 20 batteri sono stati identificati come specie legate a un rischio Alzheimer, mentre le altre 14 sarebbero potenzialmente protettive nei confronti della malattia. In particolare, la specie associata a un rischio più significativo è il Bacteroides, mentre il genere maggiormente protettivo è l’Intestinibacter.

Il ruolo del genotipo APOE

Inoltre, gli scienziati hanno osservato che esiste un’associazione tra abbondanza di ceppi batterici pro-infiammatori e il genotipo APOE, un fattore di rischio per lo sviluppo dell’Alzheimer. In particolare, il batterio pro-infiammatorio Collinsella aerofaciens è particolarmente abbondante nelle persone con il gene APOE4. Questi risultati suggeriscono che la vulnerabilità genetica associata al genotipo APOE potrebbe modificare il microbiota intestinale, rendendolo più ricco di batteri pro-infiammatori e facendo così diventare l’individuo più suscettibile alla malattia neurodegenerativa.

Va notato che questo nuovo lavoro è solo l’ultimo di molti studi condotti sul tema negli ultimi anni. La ricerca si è concentrata sulla comprensione dei meccanismi attraverso cui il microbiota intestinale interagisce con il sistema immunitario e il funzionamento neurologico, al fine di comprendere perché le aree cerebrali degenerano e danno origine a sintomi come la perdita di memoria o il declino cognitivo tipici della malattia di Alzheimer.

La componente infiammatoria

In particolare, gli scienziati hanno evidenziato che le malattie neurodegenerative e psichiatriche hanno anche una componente infiammatoria, che costituisce un fattore di rischio per diverse patologie, tra cui malattie cardiovascolari, metaboliche e immunologiche. Nel corso del tempo, gli studiosi hanno notato che il microbiota intestinale modella il sistema immunitario dell’organismo e che le patologie mentali possono presentare un’alterazione infiammatoria senza un’apparente motivazione. Questo ha spinto la ricerca a cercare una risposta nel microbiota intestinale.

Diversi studi, tra cui quelli condotti dall’IRCCS Istituto Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, hanno dimostrato che i pazienti con malattia di Alzheimer presentano un microbiota con ceppi pro-infiammatori più abbondanti rispetto ai soggetti di controllo. In particolare, è stato osservato che nei pazienti con malattia di Alzheimer è meno abbondante il batterio Roseburia, conosciuto per essere protettivo, suggerendo che questo batterio potrebbe rappresentare un fattore protettivo per la malattia neurodegenerativa.

Batteri: causa o conseguenza?

Tuttavia, non è ancora chiaro se queste differenze nella flora batterica siano la causa o la conseguenza delle malattie neurodegenerative o se ci sia una correlazione mista tra i due fattori. Nonostante ciò, la ricerca sta aprendo la strada alla possibilità di rimodellare il microbiota intestinale per prevenire o trattare la neurodegenerazione.

Per questo motivo, si sta lavorando sullo sviluppo di probiotici ad hoc, in grado di manipolare il microbiota intestinale per avere un effetto sul cervello, senza toccare direttamente il cervello. Tuttavia, non esiste ancora un profilo di microbiota che possa dire se una persona è sana o se è a rischio di sviluppare una patologia, né un profilo di microbiota che possa individuare i batteri protettivi deficitari e intervenire con probiotici ad hoc. È quindi necessario proseguire la ricerca in questo campo al fine di identificare i batteri protettivi e sviluppare probiotici personalizzati per prevenire o ritardare le malattie neurodegenerative.

Inoltre, è importante sottolineare che il microbiota intestinale è altamente modificabile e che con uno stile di vita attivo e l’integrazione di probiotici è possibile rendere il microbiota più ricco e diversificato, mettendo così al riparo l’organismo da alcune patologie. Tuttavia, bisogna anche considerare che ogni persona ha un proprio background genetico e che stili di vita, alimentazione e stress possono influenzare in modo significativo il funzionamento dell’organismo.

Conclusione

In conclusione, la ricerca sul microbiota intestinale e il suo rapporto con le malattie neurodegenerative è ancora in una fase molto preliminare e ci sono molte domande a cui la scienza deve ancora trovare risposta. Tuttavia, i risultati finora ottenuti sono molto promettenti e offrono la possibilità di sviluppare nuove strategie per la prevenzione e il trattamento della malattia di Alzheimer e di altre patologie neurodegenerative.

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Francesco Centorrino

Sono Francesco Centorrino e scrivo per Microbiologia Italia. Mi sono laureato a Messina in Biologia con il massimo dei voti ed attualmente lavoro come microbiologo in un laboratorio scientifico. Amo scrivere articoli inerenti alla salute, medicina, scienza, nutrizione e tanto altro.

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