La malattia di Alzheimer
Nel mondo occidentale, la malattia di Alzheimer è la principale condizione clinica che conduce ad un progressivo quadro di demenza. Per demenza si intende una sindrome caratterizzata dal deterioramento delle funzioni cognitive e, conseguentemente, dall’impossibilità ad eseguire con successo attività di vita quotidiana.
Cosa viene perso
La memoria è la più comune delle attività cognitive perdute con il procedere della sindrome demenziale. Accanto a questa modificazione, vi sono anche carenze patologiche nella sfera affettiva, disturbi percettivi, alterazioni della personalità e delle funzioni che sottostanno al controllo del sistema nervoso autonomo.
La malattia di Alzheimer-Perusini
Storicamente nota come malattia di Alzheimer-Perusini, dal nome dei due medici che la scoprirono e descrissero per primi all’inizio del secolo scorso, la malattia in questione trae le sue origini dalle menti illustri del tedesco Aloisius Alzheimer e l’italiano Gaetano Perusini. Quest’ultimo ha il merito di aver dato la svolta decisiva agli studi dello psichiatra tedesco e un aiuto prezioso all’intero mondo scientifico.
Da quel lontano 1906 ad oggi, sono state ottenute numerose informazioni, avanzate molteplici ipotesi circa la causa scatenante questa particolare forma di demenza, ma nonostante tutto non si parla ancora di una cura definitiva. Peraltro, essendo l’Alzheimer una malattia dal carattere progressivo, si dovrebbe piuttosto parlare di prevenzione, poiché una volta che il paziente ne è affetto, la gravità della malattia non può che evolvere senza sosta.

HSV-1 e malattia di Alzheimer
Tra le ipotesi recentemente avanzate, sussiste quella del coinvolgimento del virus herpes simplex 1 (HSV-1) nell’eziopatogenesi della malattia di Alzheimer [1]. Il virus appena menzionato è ben noto a tutti come la causa del fastidioso herpes labiale. Più nel dettaglio si tratta di un virus a doppio filamento di DNA che, a seguito della prima infezione a livello epiteliale, si “nasconde” dalle sentinelle del nostro sistema immunitario a livello dei gangli del nervo trigemino, localizzato nelle vicinanze del sito dell’infezione [2].
In questo modo, il virus ha la peculiarità di entrare in uno stato di latenza, dal quale si riattiva in caso di un abbassamento delle difese immunitarie dell’organismo infetto, portando alla ricomparsa delle classiche lezioni erpetiche.

HSV-1 è davvero correlato con l’Alzheimer?
Ora, come fa questo virus ad essere collegato alla neuropatologia tristemente nota come prima causa di demenza nel mondo occidentale? Ebbene, negli stadi di riattivazione, HSV-1 potrebbe anche risalire fino al sistema nervoso centrale, causando infezioni asintomatiche o gravi encefaliti erpetiche. E’ stato evidenziato come le regioni target siano proprio le stesse affette dal processo neurodegenerativo della malattia di Alzheimer. Molti studi riportano come ripetuti attacchi virali di HSV-1 a livello cerebrale causino nel tempo la medesima sindrome demenziale dell’Alzheimer.
Cosa dicono gli studi
Tra le prime evidenze rientrano studi di genetica che correlano la presenza del DNA di HSV-1 in quello dei neuroni di pazienti portatori dell’allele ε4 dell’apolipoproteina ε, la cui presenza indica un maggiore rischio per lo sviluppo della malattia di Alzheimer rispetto i portatori di altre isoforme dell’apolipoproteina ε [3].
Altri studi correlano l’aumentata presenza di anticorpi IgM e IgG anti-HSV-1, entrambi marker di una riattivazione virale, ad un rischio più elevato di sviluppo della malattia [4].
Seppure queste ed altre evidenze circa il ruolo di HSV-1 nella patogenesi della malattia di Alzheimer siano fortemente avallate, si devono ancora chiarire i processi biochimici alla base di tale correlazione. È stato evidenziato come HSV-1 andrebbe ad alterare i livelli di Ca2+ intracellulare promuovendo la formazione delle placche β-amiloidi. In più, il virus potrebbe anche indurre difetti nella rimozione delle suddette placche, causandone un accumulo patologico [5].
Altri autori riportano proprietà antimicrobiche delle stesse placche amiloidi, grazie alle quali intrappolerebbero le particelle virali, per poi accumularsi e depositarsi [6]. In entrambi i casi, i due processi convergono sull’accumulo del β-amiloide in presenza di HSV-1 a livello cerebrale.
Conclusioni
A seguito dell’ottenimento di numerose prove riguardo il possibile ruolo di HSV-1 nella malattia di Alzheimer e dal momento che si hanno a disposizione diversi antivirali per combattere le infezioni di HSV-1, sono stati avviati diversi studi clinici per testare l’efficacia di tali antivirali come possibile trattamento della malattia di Alzheimer.
Molti studi hanno fornito risultati incoraggianti mostrando un minore rischio di sviluppo della patologia; sono sicuramente necessarie ulteriori ricerche, ma se quanto visto finora fosse confermato, la prossima sfida sarà la realizzazione di un vaccino che prevenga lo sviluppo della malattia di Alzheimer.
Fonti
- https://doi.org/10.1016/j.coph.2022.102200
- https://doi.org/10.1016/j.tim.2020.03.003
- https://doi.org/10.1016/S0140-6736(96)10149-5
- https://doi.org/10.1371/journal.pone.0003637
- https://doi.org/10.1371/journal.pone.0013989
- https://doi.org/10.1016/j.neuron.2018.11.043
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