Il ruolo del microbiologo oltre i confini del laboratorio

Dal 2017 la professione di biologo entra a far parte delle professioni sanitarie riconosciute, grazie al DDL Lorenzin. Dal 1967, però, esiste l’ordinamento che regolamenta gli ambiti lavorativi degli iscritti all’albo. Nella vastità delle materie trattate dalla biologia, trova spazio la microbiologia. Solo dopo il percorso di specializzazione non medica in Microbiologia e Virologia si può diventare professionisti clinici, esperti in grado di gestire laboratori ospedalieri e non, ed emergenze ad essi legate. 

Eppure, esiste una professione emergente che riguarda la microbiologia: il microbiologo industriale. Come ha specificato il Dott. Gilberto Dalmaso, in un’intervista per Microbiologia Italia, il microbiologo non clinico si forma sul campo, perché mancano percorsi universitari specifici, che lo preparino al mondo aziendale.
Ma, se il clinico trova ampio spazio in laboratori ospedalieri, di ricerca e di analisi, è proprio in ambito farmaceutico, cosmetico e alimentare che la figura del microbiologo diventa una necessità non ancora riconosciuta.

L’aggiornamento dell’Annex 1

Per rendersene conto, basta leggere l’aggiornamento dell’Annex 1 delle GMP (Good Manifacturing Practice) pubblicato nel 2020 dalla Commissione Europea. Lo scopo è quello di fornire una linea guida per la produzione di finiti sterili. Offre anche un supporto per prodotti che non nascono sterili, ma la cui carica microbica deve essere comunque bassa e controllata.

I temi del documento vertono su problematiche che potrebbero interferire con il processo produttivo: contaminazioni microbiche e particellari, classificazioni degli ambienti sterili e monitoraggio del personale. 

Qual è il denominatore comune di questi aspetti? Il pericolo tangibile di una possibile contaminazione microbica durante il processo, che possa deteriorare il prodotto finito e compromettere le attività aziendali.

In un contesto del genere, i microbiologi si occupano di svolgere analisi di routine di titolazione e per la ricerca di patogeni, occupandosi anche del monitoraggio ambientale e del personale, spesso relegando se stessi al laboratorio.

Il caso dell’industria cosmetica

Nel 2020 l’ONB ha schematicamente riassunto gli ambiti professionali dei biologi in un albero figurato, in cui ad ogni colore corrisponde un campo di applicazione della biologia (Fig.1).

L'albero degli ambiti professionali dei biologi
Figura 1 L’albero degli ambiti professionali dei biologi [L’Albero degli ambiti professionali dei Biologi – Ordine Nazionale dei Biologi (onb.it)]


In particolare, alla voce “cosmetologia” è indicato che il biologo può occuparsi di:

  • Analisi e controlli di qualità;
  • Formulazione;
  • Valutazione della sicurezza;
  • GMP e buone pratiche di fabbricazione.

Purtroppo, non basta un documento dell’Ordine per garantire ai biologi l’ingresso nei processi decisionali delle aziende cosmetiche, soprattutto quando non esiste un’offerta formativa dedicata e bisogna far fronte alle emergenze solo con la propria esperienza.

Neanche i cosmetici sono esenti da contaminazioni microbiche. Le industrie, rispettando gli Standard Europei EN ISO 17516, devono garantire un limite di carica di 102 CFU/ml per i cosmetici applicati intorno all’area occhi ed un limite di 103 CFU/ml per i prodotti “rinse-off”. Inoltre, devono essere assenti microrganismi patogeni quali: E. coli, P. aeruginosa, S. aureus e C. albicans.

Le sfide della microbiologia industriale

L’obiettivo primario della cosmetica è garantire la sicurezza del consumatore. Difatti, sono diversi i casi di infezioni che coinvolgono una vasta gamma di prodotti. Per esempio, Serratia marcescens è stato ritrovato in shampoo per bambini, Burkholderia cepacia in collutori e creme. Mentre Pseudomonas aeruginosa è il più comune tra i microrganismi associati a richiami di prodotti cosmetici, sia in Europa che negli Stati Uniti.

I rischi di contaminazione casalinga possono essere arginati dai conservanti e da un uso consapevole dei prodotti, secondo quanto riportato in etichetta.

Le sfide industriali quotidiane riguardano, piuttosto, i rischi di contaminazione interne al processo produttivo. È importante che le materie prime siano conformi. Tra queste vi è l’acqua, uno dei maggiori trigger point durante la produzione di cosmetici: dove c’è acqua, c’è vita.
Anche i biofilm batterici rappresentano un pericolo insidioso per la buona riuscita di un lotto: quando i processi di pulizia e sanitizzazione non sono validati e non si conoscono i punti critici degli impianti, le attività produttive sono messe a dura prova.

Gli ambienti di produzione e confezionamento non sono sterili: monitorarli costantemente è la strategia migliore per evitare contaminazioni in process.

Figura 2 - Muffe raccolte durante monitoraggi ambientali di un laboratorio di microbiologia
Figura 2 – Muffe raccolte durante monitoraggi ambientali su SAB Agar

In ultimo, da qualche anno, stiamo assistendo a continue restrizioni sull’uso di conservanti. I formulatori sono così spinti a testare nuove sostanze, a cui, spesso, i ceppi microbici wild type sono resistenti. I conservanti vengono testati in laboratorio tramite il Challenge test che permette la definizione del PAO, ma è basato sull’utilizzo di ceppi titolati e definiti, non sulla microflora batterica unica per ogni sito produttivo.

La soluzione nell’esperienza professionale

La soluzione a questi problemi non la si trova sui libri di testo. È in questi casi che i microbiologi dovrebbero uscire dai laboratori e contestualizzare le innumerevoli analisi che svolgono ogni giorno. Quando si trova un risultato positivo è già in atto una contaminazione, che potrebbe rallentare o fermare il processo produttivo.

Oltre alla sicurezza dei consumatori, sarebbe opportuno ottimizzare i tempi di produzione e ridurre gli scarti, basti pensare a quanta acqua è necessaria per la produzione di un cosmetico e a quanta ne serve per la sanitizzazione degli impianti. Anche le materie prime hanno un costo di approvvigionamento e smaltimento. Sempre citando il dott. Dalmaso, è bene non ragionare per compartimenti stagni, ma avere quella visione d’insieme che permetta una valutazione dei rischi accurata ed uno scarto minimo.

Laddove non ci arrivano le università, i microbiologi con esperienza lavorativa dovrebbero mettere a disposizione la propria conoscenza teorica sulle condizioni di crescita e di isolamento dei microrganismi per agire in ottica di prevenzione, individuando precocemente dove potrebbero formarsi biofilm e come contribuire alla manutenzione degli impianti.

La sicurezza per il consumatore non si stabilisce leggendo una piastra in laboratorio, ma in sinergia con gli altri reparti contribuendo ad un processo produttivo efficacie e sicuro.

Fonti
Crediti immagini

Immagine in evidenza: Como montar um laboratório de microbiologia? Dicas (splabor.com.br)

Figura 1: L’Albero degli ambiti professionali dei Biologi – Ordine Nazionale dei Biologi (onb.it)

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